Come si gestisce un team?
Gestire un team aziendale significa più che organizzare risorse: è creare un ambiente dove ogni individuo contribuisce al successo comune. Una leadership forte e inclusiva è la chiave per trasformare un gruppo in una squadra coesa e orientata ai risultati.
L’inclusione è fondamentale per stimolare confronto, creatività e innovazione. Favorire il dialogo costruttivo e valorizzare le unicità dei collaboratori porta a soluzioni originali e maggiore resilienza organizzativa.
L’articolo esplora anche l’engagement e il feedback, elementi cruciali per una gestione efficace. Guidare un team significa valorizzare il potenziale di ciascun membro, bilanciando motivazione e benessere per raggiungere obiettivi sostenibili e duraturi
La gestione efficace di un team aziendale è uno degli aspetti più importanti per un manager o un capitano d’azienda che voglia mantenere una visione chiara e coerente degli obiettivi da raggiungere. Una leadership solida, unita a una gestione equilibrata, è fondamentale per costruire un ambiente di lavoro che favorisca la produttività, la coesione e l’innovazione. Questo articolo esplora come un management ben strutturato possa allineare il personale, i collaboratori e i key men aziendali, garantendo una performance sostenibile e di successo. La gestione del team non riguarda solo l’allocazione delle risorse e il monitoraggio delle performance, ma implica anche la capacità di ispirare, coinvolgere e motivare i membri del team per raggiungere gli obiettivi aziendali comuni. Un leader deve essere in grado di riconoscere il potenziale di ogni membro del team, valorizzarlo e incanalarlo verso la realizzazione di una visione condivisa.
Inclusione e motivazione: creare un ambiente di onestà intellettuale
Tra gli aspetti chiave nella gestione del team c’è senza dubbio l’inclusione. Secondo Carolyn O’Hara, creare un ambiente di lavoro dove tutti i membri si sentano inclusi non è solo un imperativo morale, ma un elemento cruciale per migliorare la performance aziendale. La ricerca del Catalyst Research Center ha evidenziato che i dipendenti che si sentono inclusi sono più produttivi, più leali e più disposti a lavorare duramente per il successo dell’azienda. Tralasciando per un istante le organizzazioni non-profit, per tutte le aziende che lottano sul mercato ogni giorno è opportuno riflettere sul ruolo del conflitto. Legittimare uno scambio equo, onesto e costruttivo di opinioni, mettendo in discussione alcuni dogmi e “prigioni psichiche” dell’operatività quotidiana, è in certi casi un booster di stimoli di inclusione tra tutti i membri dello staff, sia nelle posizioni apicali che di middle e low management. Ogni organizzazione dovrebbe quindi incentivare una forma di equilibrio di scambio dinamico di idee, in cui il dinamismo nasca dal confronto, in modo che ogni individuo si senta parte del gruppo ma allo stesso tempo riconosciuto per l’unicità del suo pensiero.
Inoltre, promuovere l’inclusione non è soltanto una questione di equità, ma è anche strategico per migliorare la creatività e l’innovazione. L’azienda può (o deve) decidere per svariate motivazioni di introdurre una novità di processo o di prodotto, e nel farlo può essere una best practice interrogare le persone dello staff e, segnatamente, anche i manager quando queste introduzioni sono eterodirette (da fattori esterni o da adeguamenti normativi). Quando i collaboratori si sentono valorizzati per la loro unicità e hanno fiducia nel fatto che la loro opinione conta, sono più inclini a intervenire costruttivamente per migliorare o criticare le novità, di qualunque natura esse siano.
Una cultura inclusiva e aperta consente quindi di sfruttare appieno il potenziale di opinione di ciascun dipendente, trasformando la diversità di prospettive e vedute in una risorsa per l’intera organizzazione. Un team inclusivo è anche un team resiliente, capace di affrontare il tema del cambiamento con maggiore obiettività e con maggiore efficacia, grazie al contributo della pluralità del pensiero.
Per cosa è importante l’engagement
Un passo prima di discutere di conflitto e coinvolgimento, serve che tutti nell’organizzazione “remino nella stessa direzione”. Ed è in questo senso che gioca un ruolo importante l’engagement delle persone. Per dirla con le parole di Herzberg, se i fattori igienici possono essere dati per assodati in questa sede (stabilità della retribuzione, certezza della continuità del rapporto di lavoro, chiarezza dell’attività d’impresa, equità di trattamento in generale), i fattori cosiddetti motivazionali sono quelli che aggiungono valore alla stabile permanenza di una persona in una squadra. Fermo restando che in certi contesti professionali i primi possono pesare più dei secondi e viceversa in altri, come sottolineato da Ryan Fuller e Nina Shikaloff l’engagement non è sinonimo di produttività: in molte aziende, l’engagement è misurato attraverso sondaggi che rilevano il livello di soddisfazione o l’investimento emotivo dei dipendenti, ma queste misurazioni possono essere fuorvianti se non vengono integrate con dati comportamentali concreti. Ad esempio, in uno studio su due aziende Fortune 100, è emerso che in una delle due realtà esisteva una forte correlazione tra ore di lavoro e engagement, mentre nell’altra non vi era alcun legame apparente. Questo suggerisce che un elevato appagamento non si traduce necessariamente in una maggiore produttività, e che i manager devono quindi andare oltre le metriche tradizionali di engagement per comprendere davvero il contributo di ogni individuo e come esso influisca sui risultati aziendali. La mancanza di un adeguato coinvolgimento provoca la resistenza di una persona all’interno dell’organizzazione, ma non la sua esistenza: fuor di metafora, il lavoro stesso si svuota di significato senza engagement e non vi è alcun apporto personale ma un semplice scambio mercificato di lavoro dietro compenso.
L’engagement va oltre la semplice soddisfazione sul lavoro: coinvolge il legame emotivo e cognitivo tra il dipendente e l’organizzazione, ed è compito dei manager convertire l’impulso positivo di questo legame in azioni concrete e comportamenti produttivi che portino valore all’azienda, fornendo ai collaboratori gli strumenti, il supporto e le opportunità di crescita necessari per realizzare appieno il proprio potenziale. Una delle chiavi per farlo è garantire che i dipendenti abbiano una chiara comprensione del proprio ruolo e di come questo si inserisca nella visione strategica dell’azienda. Quando i collaboratori capiscono l’importanza del loro contributo e come esso sia parte integrante del successo dell’organizzazione, sono più motivati a impegnarsi attivamente. Parimenti importante, come emerso in molti rapporti recenti sulle priorità dei giovani nella scelta di una professione o posto di lavoro, è il bilanciamento tra engagement e carico di lavoro. Come evidenziato dallo studio citato sopra sulle due aziende Fortune 100, un carico eccessivo può ridurre l’engagement, portando a un calo della produttività e a un aumento del rischio di burnout. I manager devono quindi monitorare attentamente il benessere dei propri collaboratori e garantire che il livello di engagement sia contemporaneamente produttivo e sostenibile nel tempo, evitando che il desiderio di contribuire si trasformi in sovraccarico lavorativo. Creare un ambiente che favorisca l’equilibrio tra lavoro e vita privata è essenziale per mantenere un team motivato e produttivo.
Il lato umano per il successo di gruppo: trattare i talenti come individui
Uno step essenziale nel trasformare un gruppo di persone in una vera squadra coesa ed organizzata, insieme alle tecno-strutture ufficiali dell’organigramma e del mansionario, è la creazione della necessaria amalgama tra responsabili di funzione e addetti alle operations. I talenti possono essere collocati a qualsiasi livello della struttura organizzativa, ma anche le migliori professionalità, per quanto dotate delle più spiccate abilità nei singoli ruoli e mansioni, da sole non sono sufficienti per rendere la squadra vincente e stabilmente motivante. Roger L. Martin, ex preside della Rotman School of Management, ha sviluppato tre regole fondamentali per la gestione produttiva dei talenti di alto livello in funzione della loro appartenenza alla squadra di lavoro.
La prima è quella di trattare i collaboratori come individui, e non come membri di una classe. I talenti migliori non vogliono sentirsi “uno tra tanti”, ma essere riconosciuti per il loro contributo unico e per il valore che apportano all’organizzazione. In questo senso, è compito dei membri apicali dell’organizzazione di riconoscere le esigenze e le ambizioni di ogni individuo, per far sì che si crei un legame di fiducia e lealtà reciproca e soprattutto che il talento sia tanto più riconoscibile quanto più è a disposizione del gruppo per il miglioramento globale delle performance.
Inoltre, è essenziale fornire opportunità di crescita continua. I talenti di alto livello sono costantemente alla ricerca di nuove sfide e opportunità per dimostrare le proprie capacità. Un buon manager deve quindi essere disposto a offrire queste opportunità, anche quando ciò comporta rischi. A tal proposito, è cruciale che il manager sia in grado di valutare accuratamente le competenze e il livello di preparazione del collaboratore, in modo da assegnargli compiti sfidanti ma realistici. Dare ai propri talenti la possibilità di affrontare nuove sfide non solo li motiva, ma contribuisce anche alla loro crescita professionale e al rafforzamento dell’organizzazione. In parallelo, l’investimento in benefits aziendali inerenti la formazione continua ha come duplice effetto benefico di arricchire di competenze e conoscenze il lavoratore o manager che si mette a sua volta a disposizione dell’azienda, in un’ottica di reciprocità del tipo win-win.
Una gestione personalizzata dei talenti non riguarda solo l’assegnazione delle giuste opportunità, ma anche il riconoscimento dei successi. L’importanza del feedback positivo non va sottovalutata: anche i talenti migliori hanno bisogno di sentirsi apprezzati e riconosciuti per il loro impegno, soprattutto dopo aver affrontato sfide particolarmente difficili. Come sottolinea Martin, è importante che il riconoscimento sia autentico e personalizzato, evitando formule generiche che rischiano di risultare poco sincere. Un feedback efficace deve essere specifico, incentrato sui risultati ottenuti e sui comportamenti positivi che hanno portato a tali risultati, in modo che il collaboratore possa continuare a migliorarsi e a contribuire al successo dell’azienda.
Infine, è fondamentale che il management e la direzione aziendale creino un ambiente in cui ogni talento si senta libero di esprimere le proprie idee e di prendere l’iniziativa. Come ampiamente discusso sopra, lo scambio continuo di opinioni e un dialogo aperto ed onesto possono alimentare la consapevolezza nelle persone dello staff di essere importanti per la squadra e, come diretta conseguenza, di assumersi responsabilità sulla base della fiducia creatasi. Un manager che tratta i talenti come individui unici, offrendo opportunità di crescita e riconoscendo i loro successi, sarà in grado di costruire un team motivato, leale e altamente performante.
Un feedback positivo, ma anche costruttivo
Valutare è un’operazione complessa che l’alta direzione di un’organizzazione, così come il board dei soci di un’azienda, deve compiere frequentemente. In special modo, valutare l’operato delle persone è di vitale importanza sia in ottica aggregata (di ufficio, di divisione o di intera azienda) che in ottica individuale (di singolo individuo). Altrettanto importante è essere obiettivi nella valutazione, soprattutto se consideriamo il delicato equilibrio tra orientamento alle persone in contrapposizione all’orientamento ai risultati. Steven DeMaio, in un suo articolo, mette in luce come un eccesso di positività (o, per meglio dire, di orientamento alle persone) possa risultare controproducente, creando un clima di superficialità e carenza di obiettività che impedisce la crescita reale dei collaboratori. La chiave è trovare in primis l’equilibrio nella gestione di breve e medio-lungo termine tra i due orientamenti (quello verso il risultato e quello verso le persone) e, in modo strettamente collegato, ricalibrare le valutazioni e i feedback. Alla luce di quanto affermato, l’optimum sta nel trovare un equilibrio tra feedback positivo e critico, fornendo riconoscimenti autentici ma anche suggerimenti concreti su come migliorare.
Un buon manager sa che il feedback deve essere inoltre sia specifico che contestualizzato, anziché generico. Dire a un collaboratore che il suo lavoro è “fantastico” o “disastroso” senza fornire dettagli rischia di rendere il feedback inefficace. Al contrario, evidenziare esattamente cosa ha funzionato bene o male, e come quel comportamento possa o meno essere replicato in futuro, è molto più utile per la crescita del dipendente. Nondimeno, è altrettanto importante identificare le aree di miglioramento in modo chiaro e fornire suggerimenti pratici su come affrontare le sfide, una pratica essenziale per il progresso del singolo e dell’intero team.
Sta alla sensibilità e alla maturità dei manager e alla capacità ricettiva delle persone in azienda, infine, di creare un ambiente in cui il feedback venga percepito come un’opportunità di crescita prolungata nell’arco del tempo, piuttosto che come una critica negativa estemporanea e sterile. Per fare ciò, i manager devono stabilire un clima di fiducia e apertura, in cui i collaboratori si sentano liberi di esprimere le proprie preoccupazioni e di chiedere supporto. Un feedback efficace è un dialogo bidirezionale, in cui sia il manager che il collaboratore possono imparare e migliorare reciprocamente. L’approccio del feedback continuo, piuttosto che limitato a momenti formali, permette di affrontare tempestivamente le problematiche e di rafforzare le buone pratiche, contribuendo così alla crescita professionale dei singoli e al consolidamento dell’expertise del team nel suo complesso.
Servono fiducia e apertura per un feedback veloce e reciproco
Nella dialettica quotidiana tra azienda e professionisti (manager, dirigenti, operai e maestranze) è essenziale che il feedback sia un processo bidirezionale, in cui sia il manager che il collaboratore possano discutere apertamente, contribuendo all’arricchimento dell’azienda e traendone reciproco vantaggio. Un clima di fiducia, come ampiamente esposto sopra, facilita una discussione sincera, in cui anche le critiche costruttive vengono accolte come opportunità di crescita piuttosto che come critiche personali.
La bidirezionalità non deve mai escludere un altro aspetto cruciale del feedback, ovvero la tempestività. Non è utile attendere le valutazioni formali annuali periodiche per fornire un feedback; è più efficace intervenire nel momento in cui si verifica un determinato comportamento, positivo o negativo. Questo approccio immediato consente al collaboratore di comprendere meglio il contesto e applicare le correzioni o replicare il comportamento positivo in tempi brevi. Un feedback immediato è più facilmente compreso e interiorizzato rispetto a un commento tardivo che rischia di sembrare decontestualizzato.
Allineare il team: visione condivisa e comunicazione trasparente
Per allineare un team in modo efficace, è fondamentale che tutti i membri condividano una visione chiara degli obiettivi aziendali e comprendano come il proprio lavoro contribuisca al successo complessivo dell’organizzazione. La comunicazione aperta e trasparente è uno degli strumenti più potenti per garantire questo allineamento, ed è compito della direzione aziendale di tradurre in linguaggio comprensibile le direttive strategiche, scomponendole in mansioni ed operazioni chiaramente identificabili e soprattutto motivando le scelte fatte. In più, ogni collaboratore dovrebbe avere accesso alle informazioni necessarie per la sua operatività quotidiana, con l’obiettivo di capire in che modo il suo operato si inserisca nel complesso meccanismo dell’organizzazione di cui è parte.
La visione condivisa, pertanto, non è solamente un concetto teorico, ma deve essere tradotta in obiettivi chiari ed accompagnata da metriche tangibili e misurabili. Ogni membro del team dovrebbe sapere esattamente cosa ci si aspetta da lui e come il suo lavoro si inserisce all’interno della strategia aziendale. Una comunicazione chiara e costante aiuta a mantenere il focus sui risultati da raggiungere, evitando distrazioni e malintesi che potrebbero compromettere la performance del team.
La condivisione della strategia richiede che il management parli (cioè veicoli strategia ed obiettivi) e ascolti (cioè recepisca le informazioni della controparte) in modo sinergico ed equilibrato. I manager che ascoltano attivamente e si informano su quello che accade nell’operatività quotidiana, chiedendo input ai collaboratori e valorizzando il contributo di ognuno di essi, instaurano un rapporto di fiducia e commitment nei dipendenti e creano un ambiente in cui le idee possono fluire liberamente e le soluzioni innovative vengono generate collettivamente. L’inclusione delle diverse prospettive dei membri del team rende l’azienda più reattiva e flessibile di fronte ai cambiamenti, aumentando la capacità di adattamento e resilienza.
Le persone per l’organizzazione (e viceversa)
Non si può prescindere dal substrato culturale, sociale, relazionale e normativo in cui è inserita un’azienda o un’organizzazione. La trasversalità dei concetti che abbiamo esaminato sopra, tuttavia, è uno strumento molto potente nelle mani di chi dirige ed amministra un gruppo di persone. Si tratta di una “cassetta degli attrezzi” di idee e concetti (ampiamente utilizzati e dal comprovato successo) che cambiano il modo in cui le persone si vedono nell’azienda e soprattutto, se applicate con perseveranza e metodo, cambiano l’azienda stessa dal profondo.
Un management competente non può limitarsi a guardare soltanto i numeri, che sono la conseguenza delle operazioni passate, ma riflette a 360 gradi sulle persone e sulle azioni che devono compiere, che sono la causa e la ragione dei numeri futuri. Le persone sono il telaio strutturale dell’azienda e ne rappresentano un delicato meccanismo che può essere ottimizzato e reso sempre più efficiente ed efficace da chi vede l’azienda dall’alto.
In un contesto economico sempre più complesso e competitivo, i manager devono essere in grado di creare un ambiente di lavoro che non solo motivi i dipendenti, ma che li renda consapevoli di essere elementi strutturali e necessari alla crescita dell’azienda o dell’organizzazione o ente. Solo così sarà possibile costruire un team coeso e altamente performante, capace di affrontare con successo le sfide del futuro.