Managerializzare l’azienda.
La managerializzazione rappresenta una trasformazione aziendale fondamentale: introduce pratiche gestionali strutturate per migliorare efficienza, sostenibilità e competitività, allineando l’impresa a un modello basato su competenze specifiche.
Un’azienda managerializzata evolve da un’entità guidata dall’istinto a una struttura solida e organizzata, capace di affrontare le sfide moderne con sistemi decisionali condivisi e misurabili.
Il caso Lumberjack illustra come un’impresa possa risorgere grazie alla managerializzazione, abbracciando un cambiamento culturale e operativo in grado di consolidare crescita e resilienza.
La managerializzazione dell’azienda: cosa è?
La managerializzazione dell’azienda è un processo che consiste nell’introduzione di pratiche di gestione professionali e strutturate, volte a migliorare l’efficienza, l’efficacia e la sostenibilità delle decisioni all’interno di un’impresa.
In altre parole, è l’evoluzione dell’azienda verso un modello di gestione che si basa su competenze manageriali specifiche, permettendo di superare una visione imprenditoriale più istintiva e meno strutturata. Questo approccio è essenziale per affrontare la crescente complessità del mercato e per garantire la competitività e la crescita dell’impresa nel lungo termine.
Managerializzare un’azienda significa trasformarla da un’entità guidata esclusivamente dall’istinto del fondatore (o del socio più carismatico, che non sempre coincide con il fondatore o con l’amministratore delegato) a una struttura che fa leva su sistemi, processi e competenze di gestione moderni e adattivi.
Oggi più di ieri, un cambiamento necessario
Managerializzare l’impresa, oggi più di ieri, è di fondamentale importanza. Oggi, l’interdipendenza funzionale tra reparti aziendali (marketing, produzione, vendite, amministrazione, contabilità,…) comporta che le decisioni prese in un determinato ufficio condizionino pesantemente e a stretto giro l’operatività degli altri. Ciò implica, se non l’assoluta prevedibilità, almeno la piena consapevolezza dei decisori, specie in contesti di mercato in cui l’assenza di programmazione può portare ad errori decisionali che potrebbero danneggiare l’azienda sia nel breve che nel medio/lungo termine. Per non lasciare al caso, all’emotività o ad altri fattori non controllabili gli esiti di una o più decisioni, le aziende possono – e, alla luce dei recenti case histories, devono – essere managerializzate perché ad ogni funzione deve poter corrispondere un unico decisore (persona o gruppo) a cui affidare delega per compiti precisamente identificati i cui risultati siano il più possibile misurabili.
In quest’ottica, si parla di processo di managerializzazione strutturale perché permea tutti i dipartimenti aziendali dalle fondamenta, in profondità (cioè a tutti i livelli decisionali di una singola funzione) e in ampiezza (cioè nelle relazioni tra una funzione e le altre). Managerializzare è particolarmente rilevante nelle organizzazioni che si trovano a dover affrontare cambiamenti profondi, come la transizione generazionale, l’espansione verso nuovi mercati, o la necessità di affrontare una crisi economica.
Come sottolineato nel rapporto di PricewaterhouseCoopers (PwC) sulle leadership trasformative, la capacità di guidare un cambiamento significativo passa attraverso l’adozione di pratiche manageriali strutturate che permettano di affrontare con efficacia le sfide moderne, come l’innovazione tecnologica, la sostenibilità ambientale e la crescente complessità normativa. La managerializzazione, quindi, è la risposta a questa necessità di professionalizzare la gestione, introducendo sistemi di governance chiari, deleghe efficaci e processi decisionali condivisi che supportino una visione a lungo termine.
Un altro punto cruciale è la necessità di superare la rigidità delle strutture aziendali tradizionali. In alcuni casi, statisticamente riconducibili a realtà d’impresa piccole e prevalentemente a conduzione familiare, i processi decisionali possono essere molto accentrati o, in certi casi, sostanzialmente ridotti ad unum.
Di per sé non si tratta di una pratica da demonizzare in assoluto, ma un eccesso di responsabilità nelle mani di un unico soggetto potrebbe ripercuotersi negativamente sia nell’operatività quotidiana che, cosa peggiore, nella bontà delle scelte strategiche di lungo termine. Molte aziende, specialmente le sopra citate a conduzione familiare o micro-piccole, si basano su strutture gerarchiche poco flessibili, che limitano l’adattabilità e la capacità di innovare.
La managerializzazione prevede un cambiamento radicale verso una struttura più dinamica ed eterogenea, in cui il flusso di informazioni è rapido, la comunicazione tra i diversi livelli dell’organizzazione è trasparente e continua e soprattutto ogni decisore risponde in modo approfondito per l’area di sua specifica competenza, con maggiore accuratezza e grado di approfondimento.
Responsabilità e coinvolgimento diffuso
Un altro aspetto chiave della managerializzazione è l’introduzione di una cultura della responsabilità all’interno dell’azienda. Questo rinnovato approccio è alla base di una gestione aziendale efficace, poiché spinge ogni individuo a prendere decisioni coerenti con la strategia aziendale e ad assumersi la responsabilità dei propri KPI (Key Performance Indicators, cioè Indicatori Chiave di Performance) per contribuire al raggiungimento degli obiettivi di lungo termine . Questo approccio, inoltre, è particolarmente importante in contesti in cui la leadership tradizionale — spesso basata su comando e controllo accentrati — non è più efficace per affrontare le sfide della modernità.
Come evidenziato da Harsha Jalihal, è tempo che i manager non si limitino a “farsi fare il lavoro”, ma diventino veri e propri leader, capaci di prendere decisioni autonome in base alle necessità dei propri team. Nella creazione di questa cultura aziendale, sono indubitabilmente di aiuto la fiducia tra proprietà e management, la formazione continua (sia di base che anche supplementare, come fosse una sorta di benefit aziendale), la trasparenza (sia nel processo di decisione iniziale che nelle successive fasi di discussione e confronto) e in ultimo, ma non certo per importanza, la motivazione al raggiungimento degli obiettivi, che si stimola tramite il coinvolgimento attivo dei dipendenti nelle decisioni.
Le aziende che adottano un modello manageriale decentralizzato sperimentano spesso una riduzione del turnover del personale e un aumento del senso di appartenenza e della soddisfazione lavorativa. Questo perché i dipendenti percepiscono che il loro contributo ha un impatto diretto sul successo dell’azienda e vedono le proprie idee e proposte prendere forma e portare a risultati concreti.
Strettamente collegata alla managerializzazione è la decentralizzazione delle decisioni, che consente ai responsabili delle diverse aree aziendali di decidere meglio, prima e in modo più consapevole. Questa decentralizzazione significa dare ai manager gli strumenti e l’autorità per rispondere rapidamente ai cambiamenti del mercato, senza dover aspettare l’approvazione dall’alto. Come suggerito da Adam Bryant, è fondamentale che i manager siano in grado di “guidare dal proprio posto”, ovvero di agire con autonomia, contribuendo al successo dell’intera organizzazione.
Questo approccio riduce il cosiddetto “frozen middle” — quella fascia di manager che spesso rappresenta un freno all’innovazione a causa della mancanza di autonomia decisionale — e facilita la trasformazione verso un modello aziendale più agile e dinamico. La managerializzazione permette di sbloccare il potenziale di questi manager, creando un ambiente dove ogni livello dell’organizzazione può contribuire alla creazione di valore.
La decentralizzazione delle decisioni, tra le altre cose, è anche cruciale anche per garantire una maggiore vicinanza ai clienti e una migliore comprensione delle dinamiche locali, elementi che possono fare la differenza tra successo e fallimento in un mercato globalizzato.
La Managerializzazione come motore di innovazione
Uno degli effetti più importanti della managerializzazione è la capacità di stimolare l’innovazione all’interno dell’azienda. Quando i manager sono responsabilizzati e le decisioni sono decentralizzate, l’organizzazione diventa più recettiva alle nuove idee e più veloce nel loro sviluppo e implementazione. La managerializzazione crea un ecosistema aziendale dove l’innovazione non è confinata al reparto ricerca e sviluppo, ma diventa parte integrante di ogni funzione aziendale. Ogni dipendente, sentendosi parte attiva del processo decisionale, è incentivato a proporre soluzioni e miglioramenti, contribuendo così all’evoluzione costante dell’azienda.
Inoltre, la managerializzazione aiuta a integrare meglio le tecnologie emergenti all’interno dei processi aziendali. La digitalizzazione e l’automazione, ad esempio, possono essere gestite in maniera più efficace quando i manager hanno la capacità di prendere decisioni informate e strategiche sull’adozione di nuovi strumenti tecnologici. In questo modo, l’azienda non solo migliora la propria efficienza operativa, ma si pone in una posizione di vantaggio rispetto alla concorrenza.
La managerializzazione favorisce anche un approccio sistematico all’innovazione, in cui le idee vengono raccolte, valutate e implementate in modo strutturato. Questo approccio permette di evitare la dispersione delle energie e di concentrarsi su quelle innovazioni che hanno un reale impatto sul business. Inoltre, la managerializzazione aiuta a creare le condizioni per un’innovazione sostenibile, che tenga conto non solo dei risultati economici, ma anche dell’impatto sociale e ambientale delle scelte aziendali.
Il necessario per sopravvivere: Lumberjack
La managerializzazione è strettamente collegata alla capacità dell’azienda di gestire il cambiamento e di sviluppare una resilienza organizzativa. In un contesto caratterizzato da rapidi cambiamenti tecnologici, crisi economiche e turbolenze geopolitiche, la capacità di adattarsi e di reagire prontamente diventa un fattore determinante per il successo aziendale. Un caso aziendale è particolarmente calzante per avvalorare ulteriormente il ruolo della managerializzazione come strumento di rifondazione e ristrutturazione interna, in primis, e di avviamento e consolidamento sul mercato di riferimento, in un secondo momento. È il caso di Lumberjack, uno storico marchio di calzature casual ideato a Treviso nei primi anni Ottanta dall’azienda 3A Antonini (presieduta e gestita dall’omonima famiglia).
A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, l’azienda conosce un periodo di grande successo commerciale e il brand diventa iconico e riconoscibile. Negli anni Duemila, complici i profondi cambiamenti di contesto macroeconomico e di trend di mercato sia in Italia che nel resto del Mondo globalizzato, inizia un periodo di profonda crisi strutturale tale da portare ad un passo dal fallimento la compagine societaria.
Nel 2012, l’azienda e il brand vengono acquisiti da nuovi investitori ed inizia un profondo processo di ristrutturazione interna e managerializzazione. Nel giro di un decennio, l’azienda recupera il terreno perso e si consolida come realtà iconica ed identificabile nel mercato italiano ed estero.
Questa storia di “successo, caduta e resurrezione” nasconde alcuni nodi concettuali importanti:
- il primo è senza dubbio la criticità del passaggio generazionale e gestionale da azienda a conduzione familiare/padronale ad azienda managerializzata. La famiglia fondatrice ha portato un’innovazione mai vista prima sul mercato di riferimento ed ha avuto il merito e l’onore di far nascere un’azienda da zero e di renderne iconico il suo brand. I problemi si sono verificati quando le condizioni di contesto hanno iniziato a deteriorarsi e la direzione non ha avuto la sensibilità o la consapevolezza di comprendere che il mondo stava cambiando.
In aziende piccole e medie, e Lumberjack ne è un esempio, è accaduto che i fondatori fossero degli ottimi artigiani ed esperti di produzione (calzaturiera, nello specifico), ma le successive criticità emerse nel tempo e riguardanti i più diversi ambiti della gestione non sono state fronteggiate con adeguate competenze e conoscenze specifiche. L’eccessivo grado di accentramento decisionale e la conseguente inadeguatezza del processo decisionale potrebbe essere state due delle concause più importanti del declino aziendale degli anni Novanta;
- il secondo è il ruolo odierno della managerializzazione. Con l’avvento della seconda gestione del 2012, Lumberjack ha inizialmente riorganizzato internamente l’azienda, identificando le funzioni e collocando in ciascuna di esse una o più persone di riferimento. Il riassetto dell’organigramma per funzioni è stato fondamentale perché ha finalmente definito l’ossatura portante dell’azienda, con le persone e gli uffici responsabili di ciascuna funzione.
Sia ben chiaro: la ridefinizione e managerializzazione è ineluttabile oggi se l’azienda ha come obiet tivo di crescere ed espandersi, poiché occorrono competenze e conoscenze specifiche in ciascuna area gestionale per far fronte alla sempre crescente complessità esterna. Delega e responsabilizzazione sono, in definitiva, indispensabili e non evitabili.
La managerializzazione fornisce gli strumenti e le competenze necessarie per affrontare le sfide competitive quotidiane, creando un’organizzazione flessibile e pronta al cambiamento, ed è grazie alla managerializzazione che aziende come Lumberjack oggi riescono a identificare, per ciascuna area gestionale, gli elementi chiave di valore (e le metriche-chiave con cui misurarli) e le persone responsabili per l’andamento di ciascuno di essi.
La managerializzazione come vantaggio competitivo
In un mondo sempre più complesso e in rapido cambiamento, la managerializzazione rappresenta un passo necessario per qualsiasi azienda che voglia rimanere competitiva e prosperare. Come accaduto in Lumberjack, non si tratta solo di introdurre nuovi strumenti o processi, ma di cambiare la mentalità e la cultura aziendale, abbracciando una visione più collaborativa e basata sui dati. L’adozione di una gestione professionale permette non solo di migliorare l’efficienza operativa, ma anche di creare le condizioni per un’innovazione continua, elemento fondamentale per la crescita e la sostenibilità dell’azienda nel lungo termine.
Oggi Lumberjack ha un turnover complessivo che sfiora i 40 milioni di euro e può essere considerata una media impresa. Nel raggiungere e superare questi traguardi, sono serviti più di dieci anni di lavoro e una profonda rigerarchizzazione delle funzioni, degli uffici, delle persone e dei processi interni. Tutto ciò è stato possibile solo preparando il terreno alla managerializzazione e mettendo a terra una struttura aziendale di prospettiva, necessaria per un futuro incremento dei volumi e dei valori di produzione e vendita.
La managerializzazione ha offerto a Lumberjack l’opportunità di costruire un’organizzazione resiliente, capace di adattarsi rapidamente ai cambiamenti e di cogliere le opportunità emergenti. Questo oggi è quanto mai più importante nelle aziende in cui l’accentramento decisionale è ancora forte e radicato (siano esse piccole o grandi), come accaduto nella “prima” Lumberjack. Managerializzare un’azienda significa prepararla non solo a sopravvivere, ma a prosperare in un contesto di mercato in continua evoluzione, trasformando le sfide in opportunità di crescita e successo duraturo.
Infine, come racconta l’esempio, la managerializzazione non è un processo semplice né immediato, ma rappresenta un investimento strategico che ripaga nel tempo. Attraverso la costruzione di una cultura della responsabilità, la decentralizzazione delle decisioni, e la promozione dell’innovazione e della resilienza, le aziende possono affrontare con successo le sfide del futuro e garantire una crescita sostenibile e di valore.